Cambieranno mai le cose?

Non so tu.

Ma io per anni ho concepito il lavoro come qualcosa di fondamentale: per la pagnotta, per la propria dignità, per la società.

Oggi vedo le cose leggermente diverse, una differenza appunto minima ma decisamente sostanziale.

Il motivo sta nei significati di quelle tre parole che ho usato: pagnotta, dignità, società.

Con pagnotta intendo la parte economica del lavoro, quel soldo di cui tutti abbiamo bene o male bisogno, senza il quale la vita oggi non è possibile. Denaro che ognuno di noi impiega come meglio crede.

Con “propria dignità” raggruppo un insieme di concetti: il diventare qualcuno, la propria immagine sociale e l’orgoglio personale, l’autonomia e l’indipendenza.

Ho infine usato la parola società perché qualsiasi lavoro ha una ricaduta su quello che abbiamo intorno. Può nutrire, aiutare, completare, supportare una o più persone, gli animali, il pianeta. Al contrario un’attività, i nostri gesti, possono essere parimenti dannosi.

Il senso che davo un tempo alla pagnotta era semplice. Lo stipendio mi permetteva di vivere (pagare l’affitto, il cibo, i vestiti e i viaggi!). Non ho mai pensato alla “pagnotta” come a un bisogno di aumenti o maggiori entrate. Quello che c’era spendevo e questo mi bastava. Ma ero davvero sul mio cammino?

La risposta arrivò un giorno, quando il mio ex titolare vedendomi un po’ affranta da difficoltà lavorative, turnover,… mi disse “quanto prendi adesso?“. Ero fortunata, lavoravo in un posto dove gli sforzi venivano economicamente premiati. Ma in quel momento, quelle parole, suonarono stonate. Non mi interessava “prendere” di più, ma lavorare meglio!

Non volevo che quel soldo andasse a colmare la mia insoddisfazione, non doveva comprare qualcosa di profondamente mio e intangibile. Il denaro compra COSE ma non sensazioni ed emozioni. Certo possiamo disquisire che il denaro, attraverso l’acquisto di un’esperienza, ci possa far emozionare. Ma, andando all’essenziale, nel caso non avessimo una lira dobbiamo essere destinati ad una vita di tristezza e frustrazione? Certo che no! Quindi cambieranno mai le cose? Tutte queste domande hanno fatto scattare qualcosa, e dalla quella crisi ho creato qualcosa di nuovo.

La vita non era solo quello che lo stipendio mi permetteva di acquistare. Ho capito che una passeggiata con il cielo carico di azzurro mi rendeva più viva che un paio di scarpe nuove. Le priorità erano cambiate.

Poi ho sviluppato meglio il concetto di dignità rendendomi conto che spesso il lavoro, anche se mi riusciva bene, non era in linea con chi ero veramente. Ho così cercato la strada per ascoltarmi meglio, per decidere quali erano le vere priorità. I veri talenti da mettere a frutto.

Questo perché era la mia vita che lo stava chiedendo. Per dare dignità al tempo che vivo, per essere degna del grande dono dei giorni e delle ore che ho a disposizione.

Così il confine dignità e società diventa più sottile: se noi, parte del tutto, entriamo nel “fare quel che siamo” tutto è armonia. Non solo per noi, ma con e per gli altri.

Perché il succo è proprio qui. Per quale motivo siamo nati? Perché siamo qui? Non ho la pretesa di darvi risposte a questi dubbi esistenziali, ma so per certo che ognuno di noi è in grado di trovare la propria risposta.

Anche se non possiamo oggi vedere la meta finale, possiamo almeno iniziare a percorrere una via che ci sembri più “nostra”.

Quindi DO your best, but… BE your best.

And the best is yet to come.